Cynthia (Jennifer Rubin) è una ragazza risvegliatasi dopo tredici anni di coma profondo. Si trova in una clinica psichiatrica ed è l'unica superstite del terribile incendio nel corso del quale sono morti il reverendo Harris (Richard Lynch) e i suoi adepti. Harris era una specie di carismatico santone che guidava in una sorta di ipnotico delirio i suoi seguaci, tanto che si sospetta che la causa del rogo sia un suicidio collettivo. Cynthia dovrebbe ormai essere avviata alla guarigione completa. Solo che delle visioni la ossessionano: Harris che la invita a unirsi a loro nella morte. E delle persone cominciano effettivamente a morire. Ispirato alla lontana alla vicenda del reverendo Jones e al suicidio della Guyana, è in realtà più vicino ai meccanismi di Freddy Krueger e si disinteressa ben presto dei significati reconditi per concentrarsi sul consunto, ma ancora efficace se ben organizzato, meccanismo di suspense con la protagonista minacciata da qualcosa di apparentemente invincibile e soprannaturale. Quello che redime il film sostanzialmente di routine è la presenza di una convincente Jennifer Rubin che, reduce dall'esordio nel terzo episodio della saga di Freddy Krueger, trova qui la prima occasione da protagonista e la sfrutta al meglio. Anche Richard Lynch è come sempre incisivo quando può cimentarsi in ruoli da psicopatico minaccioso