Julian Kaye è il più noto gigolo di Los Angeles, un uomo dai gusti raffinati che ha trasformato in business la sua conoscenza delle lingue straniere e la capacità di soddisfare sessualmente ogni donna. Le sue abilità con le signore più mature gli permettono di lavorare in autonomia, prendendo incarichi sia da Anne, una piacente donna svedese di mezza età, che da Leon, un pappone nel giro dei gay club notturni. Quest'ultimo gli fornisce una sera un lavoro con la moglie di un finanziere di Palm Beach che gli chiede di poter assistere al rapporto, durante il quale vuole che Julian pratichi violenza sulla donna. Quando, pochi giorni dopo, la stessa donna viene trovata assassinata, i primi sospetti cominciano a muoversi proprio attorno a Julian. Fra il violento e sociopatico Travis Bickle di Taxi Driver e il fascinoso amatore Julian Kaye di American Gigolo ci sono più vicinanze di quanto la differente bellezza dei corpi di De Niro e di Richard Gere darebbe a intendere. Entrambi lavorano solo di notte e, anche se le loro vite sociali e sessuali non potrebbero essere più distanti, tutti e due vivono un isolamento dal mondo di fronte al quale reagiscono brutalmente. Rispetto allo script scritto per Scorsese, American Gigolo lascia filtrare maggiormente il retaggio calvinista di Paul Schrader sull'individualismo del maschio moderno, investendo direttamente temi come il complesso di colpa e la possibilità di redenzione. La sottotraccia da noir erotico e la costruzione incalzante delle indagini non sono che il pretesto per raccontare una parabola sulla contemporaneità in cui il modo di narrare il peso etico delle azioni e l'importanza degli affetti è una diretta emanazione di Bresson e del ladruncolo Michel di Pickpocket. Schrader cita apertamente il film di Bresson anche a livello figurativo, frammentando mani, lombi, volti e scandendo le sequenze di un epilogo che prevede perfino un ultimo scambio d'affetti dietro le sbarre fra i due protagonisti. Difatti, anche a livello figurativo il suo film è molto attendo a configurare un utilizzo etico delle pratiche di messa in scena: la frammentazione del montaggio e i movimenti della macchina da presa amplificano la sensazione della presenza di uno sguardo fortemente ancorato al personaggio, un osservatore continuo che guarda e giudica da ogni angolazione e da ogni distanza questo amatore che vive in funzione del desiderio e del godimento femminile. Da parte sua, il personaggio di Gere percepisce la presenza di questo sguardo di cui è oggetto continuo e per il quale si mostra sempre altamente performativo. Così apertamente esposto e sviscerato nei suoi dettagli e nella relazioni con ambienti e personaggi dal taglio della ripresa, dal ritmo del montaggio e dalle ombreggiature della fotografia, il corpo di Gere si configura sia come strumento di piacere che come rappresentazione della vanità. Tuttavia, come nel caso del proprio maestro francese, lo sguardo moralizzatore di Schrader non è diretto tanto nei confronti dell'ingenuo adone, vittima dell'individualismo prima che del proprio narcisismo, quanto verso una società dell'effimero costruita sull'apparenza e su frustrazioni latenti.