La Montagna del dio cannibale

Susan Stevenson (Ursula Andress) organizza, assieme al fratello Arthur (Antonio Marsina), una piccola spedizione di soccorso per ritrovare il marito scomparso nell'impenetrabile foresta di Rarami, al largo della Nuova Guinea. Con loro c'è Foster (Stacy Keach), profondo conoscitore della zona, che accetta di seguirli per rimuovere dalla sua mente un'ossessione che lo tormenta da tempo. Anni prima aveva infatti tentato di raggiungere la cosiddetta Montagna del Dio Cannibale, ma era stato catturato da una tribù antropofaga, i Puka, che lo avevano costretto, probabilmente in buona fede, a cibarsi di carne umana. Foster crede che sgominando i Puka sarebbe in grado di ritrovare la serenità, ma le cose non saranno così semplici anche perché lo scopo nascosto degli organizzatori della spedizione è quella di accaparrarsi un gigantesco giacimento di uranio (!). Recupero in chiave aggiornata del filone avventuroso-esotico incrociato con il cannibalistico e arricchito del classico binomio sesso e violenza, dove la violenza ha il sopravvento. C'è il peggio dei film sui cannibali, con reali violenze esercitate sugli animali e un razzismo ben poco velato, con la rappresentazione degli indigeni come cannibali o miti sottosviluppati mentali, ma c'è anche la professionalità di Martino che si destreggia con abilità tra le convenzioni narrative e gli splendidi scenari naturali. I personaggi sono stereotipi, ma appunto per questo funzionali alla vicenda e interpretati da attori più che validi. Ursula Andress, statuaria come non mai, fornisce l'elemento erotico. La sceneggiatura avrebbe avuto bisogno di dialoghi un po' meno banali